La Cavallerizza tra invenzione e realtà
Si può raccontare la storia dell’architettura con due modalità diverse: da un lato, soffermandosi sui progetti e le intenzioni degli architetti, dall’altro ponendo attenzione, invece, a ciò che effettivamente è stato realizzato.
Nel Theatrum Sabaudiae (1682), l’opera in due volumi pubblicata nel 1682 e dedicata alla presentazione dei territori del ducato sabaudo, si ritrova un’immagine fortemente idealizzata di Torino, che in quel periodo, la fine del XVII secolo, ambiva ad ampliare il suo tessuto urbano connotandolo di edifici rappresentativi della magnificenza e del potere della dinastia. In questo contesto si inserisce la progettazione di una sede apposita per l’Accademia Reale, un’istituzione, anche fisicamente, collegata al Palazzo Ducale (poi Palazzo Reale), finalizzata all’istruzione e alla formazione dell’aristocrazia piemontese e “forestiera”.
Per l’Accademia Reale l’ingegnere architetto ducale Amedeo di Castellamonte aveva disegnato un grande corpo di fabbrica articolato attorno ad una corte d’onore, con annesse scuderie disposte a crociera su quattro cortili minori, connesso al Palazzo Ducale mediante la Grande Galleria di Carlo Emanuele II. Questa si sarebbe dovuta configurare come una lunga manica longitudinale voltata che non solo avrebbe dovuto accogliere le opere d’arte delle collezioni ducali, ma anche definire il perimetro del Giardino Ducale verso la città. Di fatto, la Grande Galleria non fu mai edificata e quello spazio venne poi sfruttato da Filippo Juvarra nel Settecento per elevare la sede degli Archivi di Corte, oggi Archivio di Stato.
Il progetto di Castellamonte richiamava nella sua struttura il Monastero dell’Escorial in Spagna (fig. 1), un grande complesso presente tanto nell’immaginario degli architetti quanto in quello delle committenze delle corti europee.
Il cantiere torinese, inaugurato nel 1675, è ripercorribile nell’incisione di Antoine de Pienne (fig. 2), che mostra la crociera dei cortili delle scuderie, sormontata da una mai costruita torre di snodo, e, in primo piano, Vittorio Amedeo II, giovane duca a cavallo, ritratto quasi in chiave di primo ideale frequentatore dell’Accademia. Attraversando oggi gli attuali cortili della Cavallerizza non è possibile riconoscere lo spazio inciso da de Pienne ma in questo scarto tra ideale e reale si può ora leggere non tanto un obiettivo mancato quanto una porzione urbana ricca e vitale, segnata da un’evoluzione progressiva e tutt’altro che originariamente determinata
La torre ottagonale
Tra Seicento e Settecento sono principalmente gli architetti di corte che si confrontano con l’area dell’Accademia e delle retrostanti scuderie: Amedeo di Castellamonte, Filippo Juvarra e Benedetto Alfieri.
Secondo i progetti di Castellamonte prima e di Alfieri poi – a circa un secolo di distanza –, il perno visuale e funzionale dell’intera zona dei maneggi e delle scuderie avrebbe dovuto essere una torre di pianta ottagonale su cui si innestavano quattro bracci disposti a croce e quattro cortili interni. Tale elemento di raccordo non venne però mai realizzato rimanendo un semplice cortile fino agli anni Quaranta dell’Ottocento quando, su progetto dell’architetto Ernesto Melano (fig. 3), venne posta l’attuale copertura voltata.
Nonostante la sua assenza, la torre si è però imposta come immagine emblematica, quasi archetipica, tanto che Aldo Rossi, ripercorrendo e re-immaginando nei suoi disegni i profili e gli elementi della Cavallerizza (fig. 4), ne aveva acutamente colto il valore di modello generativo per la forma urbana (da confrontare per i richiami alla città barocca il Complesso Uffici GFT Casa Aurora, Torino, 1984-1987).
I maneggi
Nonostante oggi con Cavallerizza Reale si indichi tutto il complesso compreso tra i Giardini Reali a nord e le attuali via Verdi a sud, via Rossini a Est e il Teatro Regio a ovest, storicamente il termine indica solo il grandioso maneggio di forma longitudinale progettato da Benedetto Alfieri e costruito parzialmente.
Davanti alla Cavallerizza Reale, detta Alfieriana, si dispone il Maneggio Chiablese, realizzato negli anni Settanta-Ottanta del Settecento per ospitare le carrozze e le scuderie di Benedetto Maurizio di Savoia Duca del Chiablese (fig. 5), a cui il padre, il duca Carlo Emanuele III , aveva assegnato fondi per costruire rimesse per i cavalli separate da quelle della corte.
La struttura elementare in mattoni del maneggio sembra tradire risorse economiche scarse o suggerire una soluzione temporanea da rimaneggiare, quasi ironicamente si tratta invece dell’unico edificio completamente ristrutturato già nei primi anni Duemila quando l’Università degli Studi di Torino decise di insediare lì la nuova Aula Magna, ideata da Agostino Magnaghi (fig. 6).
La Manica del Mosca
Tra il 1832 e il 1833, l’architetto Carlo Bernardo Mosca (fig. 7) progettò nella zona nord delle scuderie un nuovo braccio longitudinale, poi identificato con il suo nome, la cosiddetta Manica del Mosca (fig. 8). Se esternamente l’edificio si mostra semplice, ma imponente, internamente si imposta su un’ampia struttura voltata al pian terreno e tre piani superiori a cui si accede tramite un’ingegnosa scalinata a forbice, collocata dentro un avancorpo esterno alla Manica.