La cultura equestre negli studi di Daniel Roche

Per affrontare il tema della cultura equestre – un modello educativo e formativo che ha attraversato tanto la storia italiana quanto quella europea – è sicuramente di grande utilità prendere in esame gli studi di Daniel Roche, esponente della scuola delle Annales, già professore al Collège de France e Directeur d’études all’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi e dell’Institut d’Histoire Moderne et Contemporaine.

Lo studioso francese si è occupato prevalentemente di cultura materiale in Età Moderna per poi allargare i suoi interessi anche a temi collegati quali, ad esempio, la cultura della mobilità, la circolazione delle idee nel XVIII secolo e il riflesso della cultura illuministica negli strati sociali più bassi (si ricordi Le peuple de Paris. Essai sur la culture populaire au XVIIIe siècle , 1981). Negli ultimi anni di attività († 2023), sconfinando ampiamente rispetto alle cronologie sondate in precedenza, Roche si è dedicato ad indagare la cultura equestre e quanto questa abbia contribuito a plasmare l’identità dell’aristocrazia europea dal Medioevo all’Ottocento.

Nella sua opera in tre volumi (figg. 1, 2, 3) – La Culture équestre occidentale, XVIe-XIXe siècle. L’ombre du cheval (2008-2015) – lo storico indaga le funzioni del cavallo, individuandone prima di tutto quella utilitaristica che vede l’animale principalmente come uno strumento finalizzato al trasporto di beni e persone, al viaggio e alla guerra. Secondariamente, il cavallo è interpretato in chiave di loisir, ossia di intrattenimento e svago, e, in ultima istanza, ne viene riconosciuto il valore pubblico e politico diventando simbolo di potere e connotazione di un preciso gruppo sociale. Queste funzioni, dopo aver attraversato la storia dell’Antico Regime, cominciano a mutare a partire dalla seconda metà del Settecento, come testimoniato da autori quali Jonathan Swift e Georges-Louis Leclerc de Buffon, nei cui testi emerge una sensibilità diversa nel rapporto fra uomo e cavallo.

Fig. 1 – Daniel Roche, La Culture équestre occidentale, XVIe-XIXe siècle.

L’ombre du cheval, tomo I, Le cheval moteur, Fayard, Paris 2008

Fig. 2 – Daniel Roche, La Culture équestre occidentale, XVIe-XIXe siècle.

L’ombre du cheval, tomo II, La gloire et la puissance, Fayard, Paris 2011

Fig. 3 – Daniel Roche, La Culture équestre occidentale, XVIe-XIXe siècle.

L’ombre du cheval, tomo III, Connaissances et passions, Fayard, Paris 2015

Se la cultura cavalleresca fiorisce nel Medioevo, è nel Cinquecento che comincia a definirsi, anche da un punto di vista letterario: con la nascita delle accademie cavalleresche (in tedesco Ritterakademien) come istituti di formazione, inizia a svilupparsi un tipo di trattatistica poi responsabile della diffusione di un preciso modello culturale, quello del gentiluomo.

Nella letteratura italiana, ruolo fondamentale è ricoperto da Il cortegiano (1528) di Baldassarre Castiglione (figg. 4, 5), opera da alcuni considerata l’inizio di una crisi ideologica, da altri l’avvio di una vera e propria cultura di corte. Secondo Castiglione, tra le qualità del gentiluomo vi è anzitutto la grazia che può essere esaltata dai diversi modi di cavalcare. Nel primo libro de Il cortegiano, il letterato fornisce elementi per distinguere i modi di cavalcare di italiani, francesi e spagnoli:

Però voglio che ’l nostro Cortegiano sia perfetto cavalier d’ogni sella; ed oltre allo aver cognizion di cavalli e di ciò che al cavalcare s’appartiene, ponga ogni studio e diligenza di passar in ogni cosa un poco più avanti che gli altri, di modo che sempre tra tutti sia per eccellente conosciuto. […] E perchè degli Italiani è peculiar laude il cavalcar bene alla brida, il maneggiar con ragione massimamente cavalli asperi, il correr lance e ’l giostrare, sia in questo dei migliori Italiani: nel torneare, tener un passo, combattere una sbarra, sia buono tra i miglior Franzesi: nel giocare a canne, correr tori, lanciar aste e dardi, sia tra i Spagnoli eccellente. (Libro Primo)

La cultura cavalleresca cinquecentesca, a differenza di quella medievale focalizzata sui combattimenti a cavallo, perde la funzione primaria d’assalto nella battaglia, divenendo soltanto una fra le tante componenti dell’esercito e lasciando maggior spazio alle fanterie equipaggiate con armi da fuoco. Tale passaggio, tra la fase medievale e rinascimentale, è ben documentato nel saggio dello storico Duccio Balestracci, La festa in armi. Giostre, tornei e giochi del Medioevo  (2002), dove si intende dimostrare come l’aristocrazia italiana ed europea, nonostante non avesse più un ruolo dirimente nei combattimenti in guerra, continuasse a formarsi attraverso un tipo di educazione militare cavalleresca in cui la figura del cavallo acquisiva sempre più connotati simbolici ed etici. Cominciava così a delinearsi una dualità: da una parte, il ruolo tecnico in battaglia e l’allenamento finalizzato alla guerra, dall’altra l’addestramento come educazione e disciplinamento etico. Anche a livello lessicale, nel Cinquecento esiste una distinzione tra i cavalieri che combattono in guerra e quelli che si esercitano nelle accademie per imparare a “stare a corte”. Ancora oggi, per esempio, in tedesco Reiter identifica il cavaliere in battaglia, mentre Ritter quello che frequenta le accademie cavalleresche; allo stesso modo, in inglese il termine chivalry allude al retaggio etico-simbolico della cavalleria, mentre horseman è la parola che si usa per definire un membro di un corpo di cavalleria dell’esercito. In questa prospettiva si inserisce anche il contributo di Johan Huizinga che, nel suo volume Autunno del Medioevo (1919, 1° ed. italiano 1940) (fig. 6), descrive come l’immaginario cavalleresco di matrice medioevale si allontani gradualmente dalla violenza del campo di battaglia per orientarsi invece verso le feste e i tornei. La cultura cavalleresca assume così le sembianze di una recita, di una messinscena che fa delle corti e delle accademie il palcoscenico prediletto.

Fig. 4 – Baldassarre Castiglione, Il cortegiano, A. Roman & A.

Asola, Venezia 1528, frontespizio

Fig. 5 – Raffaello Sanzio, Ritratto di Baldassarre Castiglione, 1514-1515.
Parigi, Musée du Louvre

Fig. 6 –Johan Huizinga, Autunno del Medioevo, Firenze, C. Sansoni, 1940,

1a edizione italiana

Le tipologie di Accademia

Nella lingua italiana il termine “accademia” assume una molteplicità di significati, si vedano ad esempio le voci nel Grande dizionario della lingua italiana  e nella Letteratura Italiana Einaudi.

Una prima tipologia vede l’accademia cavalleresca configurarsi come scuola privata con un maestro di cavallerizza mentre a partire dal XVI secolo questo schema inizia ad articolarsi in varie forme quali l’accademia che, accanto alla cavallerizza, offriva l’insegnamento di materie letterarie oppure la scuola di equitazione che affiancava lo studio della matematica.

Un’altra tipologia di istituzione accademico-formativa era rappresentata dai collegi dei nobili, destinati all’educazione dei giovani aristocratici e gestiti da ordini religiosi, in particolar modo da Gesuiti, il cui Ratio studiorum atque institutio studiorum Societatis Jesu (1599) (fig. 7) prevedeva non solo lo studio delle discipline tradizionali, ma anche l’esercizio «nella musica, nel ballo, nel gioco della barriera, nel saltare il cavallo».

Fig. 7 – Ratio atque institutio studiorum Societatis Jesu.

Superiorum permissu. Apud Claudium Michaelem, typographum Universitatis (Turnoni), 1603