La “febbre botanica”
Tra la fine del XVIII e la prima metà del secolo successivo, si sviluppò in Europa la cosiddetta “febbre botanica”, ossia uno smodato interesse per lo studio delle piante, alimentato dal completamento delle scoperte geografiche su tutto il globo. Nel Piemonte francese di primo Ottocento la ricerca botanica aveva raggiunto altissimi livelli ed era sostenuta da una fitta rete di personaggi che assunsero un ruolo fondamentale all’interno dell’ambiente scientifico. A tal proposito, da menzionare il politico Giovanni Battista Balbis (1765-1831) (fig. 1) che, a partire dal 1801, ricoprì la carica di direttore dell’Orto Botanico di Torino; l’avvocato Luigi Colla (1766-1848) (fig. 2), artefice dell’Hortus Ripulensis sulla collina di Rivoli; il conte Francesco Lorenzo de Freylino, anch’egli creatore di un orto botanico accanto al suo palazzo a Buttigliera d’Asti; Luigi Raimondo Novarina di Spigno (1760-1832), noto come marchese De Spin, proprietario di uno fra i più ricchi giardini privati a Sebastiano Po; l’agronomo Matteo Bonafous (1793-1852) (fig. 3), per molti anni direttore dell’Orto Sperimentale della Crocetta di proprietà dell’Accademia di Agricoltura.
Re Carlo Alberto e i fratelli Kurten
Salito al trono del Regno di Sardegna nel 1831, Carlo Alberto (1798-1849) attuò numerose riforme volte a promuovere la ricerca non solo in ambito botanico, ma anche in quello agricolo e zootecnico e in questo senso vanno lette le azioni di valorizzazione e potenziamento messe in atto nei grandi parchi di Racconigi (fig. 4) e Pollenzo, concepite come luoghi di loisir e contemporaneamente veri e propri laboratori per l’innovazione tecnologica.
I proposti del sovrano si orientarono anche sui Giardini Reali, dove, nei pressi del Bastion Verde in un’area di servizio deputata alla coltivazione dei fiori, si sarebbero dovute costruire nuove serre. A questo scopo un primo progetto fu presentato nel 1831 dai fratelli Xavier ed Ernest Kurten, due vivaisti e disegnatori di giardini formatisi in ambito francese, che proponevano una soluzione basata su una nuova tecnologia costruttiva, messa a punto dall’architetto paesaggista John Loudon (1783-1843) (fig. 5), ossia serre strutturate su barre in ghisa duttili e malleabili che consentivano la realizzazione di vetrate più ampie e leggere rispetto alle strutture in muratura diffuse in tutta Europa.
5. Anonimo, John Claudius Loudon, 1845.
Londra, National Portrait Gallery
Da Pelagio Palagi ai fratelli Roda
Non ritenendo idoneo il disegno dei Kurten per le serre, re Carlo Alberto convocò l’architetto Pelagio Palagi (1775-1860) che concepì diversi progetti (fig. 6), caratterizzati da uno stile neoclassico e raffrontabili con la serra del castello di San Sebastiano da Po del marchese de Spin.
Palagi prospettava la chiusura del giardino a settentrione del Palazzo Reale, costituendo così un diaframma tra l’edificio e la città sottostante, ma la proposta così ideata non venne mai realizzata e, in sostituzione, vennero chiamati i fratelli Marcellino e Giuseppe Roda (1814-1892; 1821-1895) che proposero l’erezione di una piccola serra destinata principalmente alla coltivazione di una particolare varietà di camelia (fig. 7). Ancora una volta, si sarebbero utilizzati materiali come la ghisa e il ferro che permettevano di creare vaste superfici in vetro, consentendo così alla luce di entrare nell’ambiente. In realtà, tutti questi progetti non si concretizzarono e ci si accontentò sempre di strutture provvisorie in legno e vetro, di volta in volta adattate agli impianti preesistenti.
Nel 1886 l’intervento di Marcellino Roda, al tempo Direttore dei Giardini Municipali, – segnò l’avvio di un lungo processo di trasformazione di questo comparto dovuto al provvisorio spostamento delle serre nelle strutture dello zoo dei giardini inferiori, proprio in vista del ridimensionamento e del taglio del giardino superiore per creare una nuova via di accesso al centro storico.
La fine del collezionismo botanico
L’iter progettuale che riguardava il taglio del giardino del Palazzo Reale per la creazione dell’attuale viale 1° Maggio fu completato nel 1923, sancendo così una divisione netta nel sistema del parco tra la porzione più alta e quella più bassa. Nel contempo l’Ufficio Tecnico dei Lavori Pubblici del Comune di Torino lavorava alla progettazione di un edificio definitivo che potesse accogliere le collezioni botaniche delle serre ma il secondo conflitto mondiale arrivò a segnarne definitivamente il destino: nel 1955 tutti i beni delle collezioni furono consegnati alla Soprintendenza, negli anni Ottanta gli agrumi superstiti furono trasferiti al Castello d’Agliè, e le serre destinate ad a ospitare i reperti del Museo di Antichità. Così si conclusero i 130 anni di collezionismo botanico, inaugurato da Carlo Alberto.
La collezione botanica
Un testimoniale del 1875 (fig. 8) – redatto in seguito alla morte del capo giardiniere Gaspare Ardy – attestava la presenza di numerosi esemplari di piante contenuti all’interno delle serre.
La collezione botanica sorprendeva soprattutto per la sua biodiversità e comprendeva circa 605 specie, per un totale di oltre 9000 esemplari. Si trattava di cultivar molto rare per il tempo, provenienti da tutti i continenti del globo: i gerani provenienti dall’Africa (fig. 9), le camelie e le azalee dall’Oriente e altre piante provenienti dal Nord e Sudamerica. La collezione andò incontro a dispersione poiché le serre, costruite in vetro e metallo, furono smantellate durante la Seconda Guerra Mondiale per rispondere all’esigenza del paese che allora si concretizzava nel motto “ferro alla patria”.