Il Reale Giardino Zoologico
Torino ha avuto due importanti giardini zoologici, uno a Stupinigi e l’altro ai Giardini Reali.
Più nascosta e privata, la Manageria di Stupinigi fu inaugurata nel 1819 e rimase attiva fino al 1852, anno in cui morì il celebre elefante Fritz (fig. 1). A partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, il Tenimento Spalla – ossia l’area dei Giardini Reali sotto ai bastioni – cominciò ad attrarre l’attenzione di re Vittorio Emanuele II che, appassionato di animali, decise di impiantare lì un giardino zoologico aperto al pubblico. Il primo progetto risale al 1864 e i lavori proseguirono per un decennio fino a realizzare ottantotto gabbie, di cui circa la metà con spazi all’aperto, otto gabbie doppie, due voliere, una gabbia per le scimmie, quattro case per elefanti e giraffe e una grande vasca. In una fotografia del Giardino Zoologico di Giacomo Brogi (1870) (fig. 2), conservata presso la Biblioteca Reale di Torino, si notano in primo piano i casotti con le piccole aree esterne recintate per antilopi, lama e altri animali collocabili all’aperto mentre sullo sfondo emerge uno scorcio dei bastioni cittadini con la Mole Antonelliana ancora in costruzione. Per l’epoca si trattava comunque di strutture moderne, pavimentate all’interno con pietra di Luserna e dotate di un sistema riscaldamento.
La gabbia delle scimmie
Nel Reale Giardino Zoologico le scimmie vivevano in un’apposta gabbia a pianta semicircolare, provvista di uno spazio posteriore di servizio e di divisori interni per tenere separati gli esemplari di specie, provenienza e dimensioni differenti (fig. 3). La particolarità e la funzionalità di questa struttura sollevarono l’interesse del Comune di Milano che ne chiese la planimetria, ma da Torino non venne mai inviato nulla: una mancata collaborazione che forse dice qualcosa della rivalità tra le due città allora già esistente. Molto simile nella conformazione al Palais des Singes (fig. 4) nel Jardin des Plantes di Parigi, la gabbia accoglieva numerose specie di scimmie provenienti dall’Africa, quali l’orangotango (fig. 5), il gibbone, i macachi e i babbuini.
La gestione del Reale Giardino Zoologico
Il Reale Giardino Zoologico era di proprietà del sovrano cui spettava formalmente la gestione economica e la scelta degli animali mentre la direzione dei giardini e delle collezioni zoologiche era affidata al cavaliere Enrico Verasis di Castiglione, cognato della più nota Contessa di Castiglione, Virginia Oldoini. Spesso in missione per procurarsi gli animali, l’allora direttore è ricordato per il suo viaggio nelle Montagne Rocciose negli Stati Uniti per comprare esemplari di cervi da introdurre come selvaggina alla Mandria. Le cure veterinarie della fauna del giardino erano affidate al professore Roberto Bassi (fig. 6), che contribuì a sviluppare la specializzazione in patologie di animali esotici presso la Facoltà Veterinaria di Torino.
Il Giardino Zoologico, curato nella pratica quotidiana dal custode Giuseppe Capietti (fig. 7), era aperto al pubblico tutti i giorni dalle ore 11 alle 16, salvo visite di ospiti di rilievo o attività di manutenzione.
I progetti inerenti al Reale Giardino Zoologico
Attualmente, nell’Archivio di Stato di Torino si conservano numerosi progetti mai realizzati per il Reale Giardino Zoologico, come, ad esempio, un disegno per una gabbia per avvoltoi e aquile (1867) (fig. 8), o ancora l’abbozzo di due edifici di servizio che avrebbero dovuto sorgere ai lati del muro su corso San Maurizio. Se molti progetti rimasero solo sulla carta, quello del 1873 fu effettivamente realizzato: data la presenza nel Giardino di numerose bestie carnivore, si decise di edificare un macello all’aperto, che potesse fornire grandi quantitativi di carne fresca, e di realizzare una ghiacciaia all’interno dei bastioni, a metà del Giardino Zoologico fra i due garittoni, in cui conservare gli alimenti per sfamare le belve.
Gli animali del Reale Giardino Zoologico
Tra i molti animali presenti nel Reale Giardino Zoologico si annoverava anche l’orso marsicano, allora chiamato orso d’Abruzzo, inviato probabilmente dalla Riserva Reale Alta Val di Sangro, di cui il re Vittorio Emanuele II era entrato in possesso dopo l’Unità di Italia: caduti infatti i regnanti preunitari, il nuovo sovrano si era trovato a disposizione numerose riserve di caccia sparse sul territorio nazionale. Nello zoo c’erano poi elefanti africani e asiatici, addestrati dal capo custode a sviluppare un comportamento più mansueto e collaborativo (fig. 9), come l’elefantessa educata a trainare durante l’inverno uno spartineve nei viali del giardino. Gli animali provenivano direttamente dai luoghi d’origine oppure venivano acquistati dai serragli ambulanti e, una volta morti, venivano spesso esposti imbalsamati al Museo di Zoologia della Regia Università di Torino, dove tuttora sono conservati.
Un giardino troppo costoso
Con la morte di Vittorio Emanuele II (1878), l’interesse per il Reale Giardino Zoologico diminuì e il successore al trono Umberto I decise di venderlo alla città di Torino che, tuttavia, declinò l’offerta in quanto il costo da sostenere sarebbe stato troppo elevato per le casse comunali. Nel 1886 il giardino fu smantellato: se l’area verde fu trasformata in maneggio reale, gli edifici che avevano accolto gli animali furono adibiti a serre. La cittadinanza torinese non ebbe più modo di vedere una tale quantità di specie esotiche in città fino all’apertura dello zoo al Parco Michelotti (1955).