Accademia Reale o Accademia Militare?
L’Accademia Reale e l’Accademia Militare di Torino sono due istituzioni ben distinte per obiettivi e destinatari, succedutesi nello stesso edificio del complesso della Cavallerizza Reale. Nonostante la sovrapposizione terminologica di cui fu responsabile la cultura ottocentesca, l’Accademia Reale – nata alla fine degli anni Sessanta del Settecento – era rivolta all’educazione dell’élite, senza una particolare connotazione professionale e con una vocazione internazionale e cosmopolita mentre l’Accademia Militare (fig. 1), aperta nel 1815 dopo la parentesi napoleonica, era destinata alla formazione tecnico-militare dei quadri dell’esercito.
L’Accademia Reale fra le pagine della Vita di Vittorio Alfieri
Vittorio Alfieri (fig. 2) dedica all’Accademia Reale alcune pagine della sua Vita scritta da esso (1806), l’autobiografia attraverso cui mira a costruire di sé l’immagine dell’aristocratico europeo (fig. 3). Entrato in Accademia Reale nel 1758 all’età di nove anni, Alfieri sembra manifestare da subito una sorta di estraniamento nei confronti dell’istituzione, scrivendo di essere «traspiantato in mezzo a persone sconosciute, allontanato affatto dai parenti». Inserito nel terzo appartamento, quello riservato ai più giovani, prova profonda invidia nei confronti degli studenti degli appartamenti superiori perché più liberi e meno controllati. Nel 1763 Alfieri accede al primo appartamento dove erano alloggiati anche i paggi di corte e i ricchi forestieri. Qui, secondo il letterato astigiano, si respirava una «sfrenata ed insultante libertà», si potevano indossare abiti sfarzosi, leggere romanzi francesi, stringere nuove amicizie e viaggiare con maggiore frequenza. In età adulta Alfieri, ripensando alla vita in Accademia Reale, non risparmia critiche severe, giungendo a definire l’istituzione torinese un «albergo di non studi» e coniando così un’etichetta tanto dispregiativa e quanto duratura.
2. François Xavier Fabre, Il poeta Vittorio Alfieri, 1800.
Torino, Museo Civico d’Arte Antica – Palazzo Madama
L’Accademia Reale nella memoria
La memoria di ciò che effettivamente avveniva in Accademia Reale è difficile da ricostruire poiché, oltre alle informazioni contenute nelle relazioni diplomatiche della corte e nei conti di tesoreria, non ne rimane traccia se non in letture e testimonianze posteriori. Tant’è vero che l’immagine letteraria piuttosto negativa proposta da Alfieri nella sua autobiografia, se da una ha contribuito a restituire l’esperienza coeva di un accademista, dall’altra ha alimentato una reputazione alterata dell’Accademia Reale. E in questa direzione ha influito anche la mancanza di un riferimento spaziale concreto dovuto alla distruzione dell’edificio, prima danneggiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, poi smantellato per far posto al nuovo Teatro Regio.
L’Accademia Reale
Sin dall’atto fondativo promulgato della reggente Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours (1677-1678) (fig. 4), l’Accademia Reale non smise mai di trasformarsi. Strutturata come un’accademia cavalleresca che seguiva il modello delle Ritterakademien tedesche, era una diretta emanazione della corte, tipologicamente più vicina a un collegio dei nobili che a un’università. In occasione dell’apertura, manifesti e fogli a stampa circolanti in tutta Europa, come una vera e propria pubblicità, ne promuovevano il modello educativo, basato sull’allenamento fisico e sul disciplinamento mentale.
Nel 1730 l’Accademia Reale mise in atto una prima e significativa riforma che smistava gli studenti in base all’età in tre sezioni distinte, dette appartamenti, a cui corrispondevano specifici programmi di studio. Il terzo appartamento, quello delle «basse scuole», accoglieva i giovani tra i 9 e i 10 anni che si impratichivano con lo studio di grammatica, geografia, cosmografia, matematica per poi accedere agli studi superiori. Il secondo appartamento accoglieva gli allievi che, superate le «basse scuole», si preparavano in materie propedeutiche ai corsi dell’Ateneo torinese, riformato negli anni Venti del Settecento da Vittorio Amedeo II per formare funzionari di stato. All’Università gli accademisti frequentavano i corsi di legge e teologia e questo ci offre indizi sulle loro future professioni: non militari, ma diplomatici e talvolta ecclesiastici. Nel primo appartamento risiedeva poi quella che Alfieri aveva definito una «colluvie di boreali»: una pioggia indistinta di aristocratici stranieri che dal nord arrivavano a Torino per ricevere un’educazione cavalleresca, coltivando la possibilità di frequentare la corte e di formarsi a stretto contatto con le rappresentanze diplomatiche. La presenza in Accademia di allievi provenienti da tutto il Nordeuropa – in particolar modo dall’Inghilterra, dalla Scozia e dall’Irlanda – consentì alla città di abbracciare una forte tendenza al cosmopolitismo allontanandosi così da un certo localismo che fino ad allora l’aveva caratterizzata.
Parallelamente all’Accademia Reale esisteva anche la Paggeria, una scuola di formazione di giovani nobili che – a differenza degli accademisti paganti una retta – erano accolti a spese della corte. Nel 1750 fu introdotta in Accademia una nuova riforma che intendeva rinnovare i regolamenti didattici sul modello dell’Accademia di Wiener-Neustadt, istituzione che segnò la formazione dell’aristocrazia austriaca negli anni di Maria Teresa d’Asburgo (fig. 5).
Nel 1769 una nuova riforma concesse agli studenti del secondo appartamento – che già uscivano per seguire i corsi universitari – di frequentare le Reali Scuole di Artiglieria e Genio, istituite nel 1739 e posizionate nella stessa contrada in via della Zecca (attuale via Verdi).
Si andava allora così configurando un distretto della formazione che comprendeva l’Ateneo, l’Accademia Reale, le Reali Scuole di Artiglieria e Genio: anche se ben evidente era la distinzione sociale fra i vari istituti, si trattava di una sorta di circuito tutt’altro che diviso in compartimenti stagni.
L’Accademia Reale e la massoneria
Storicamente la massoneria nasce in Inghilterra nel 1717 ad opera dei giacobiti seguaci degli Stuart in esilio, con l’intento di creare una rete europea di soccorso che potesse riportare sul trono Giacomo III: The Constitutions of the Free-Masons, volume edito nel 1723, (fig. 6) ne pubblica e diffonde in Europa le regole costitutive.
Negli stati sabaudi la massoneria vede la sua figura di maggior rilievo nel marchese Joseph François Noyel de Bellegarde che nel 1739 ottenne da Londra le patenti di Gran Maestro per gli Stati del Re di Sardegna e, dieci anni più tardi, fondò a Chambéry la prima loggia piemontese, la Grande Maîtresse Loge aux Trois Mortiers.
La prima loggia torinese, istituita con il nome di St. Jean de la Mystérieuse (fig. 7), arriverà invece più tardi, nel 1765. Nella città subalpina la tolleranza nei confronti dell’attività massonica mostrava un duplice atteggiamento: da un lato i regnanti condannavano ufficialmente le logge, dall’altro ne tolleravano l’esistenza a tal punto che svariate fra le più alte cariche massoniche erano membri della corte: ne è un esempio il marchese Carlo Gabriele Asinari di Bernezzo che nel 1771 non solo fu eletto Gran Maestro, ma anche nominato maggiordomo di Carlo Emanuele III.
Gli archivi della loggia di St. Jean de la Mystérieuse (fig. 8) risultano perduti, ma dalle carte del conte Gasparo Solaro di Moretta, tesoriere nel 1778, è emerso un Compte courant, una lista degli adepti con i nomi dei nuovi membri, tra cui figura anche James Roper Head, ammesso nel medesimo anno al primo appartamento dell’Accademia Reale di Torino: il fatto che un giovane studente, proprio all’inizio del suo soggiorno e del suo percorso accademico, fosse accettato dalla più importante loggia della capitale fa capire implicitamente quanto l’Accademia Reale fosse non solo un luogo di incontro per gli aristocratici del Grand Tour, ma anche un terreno fertile per la fioritura della massoneria e altre varianti simili di aggregazione. Se, tra il 1760 e il 1770, Torino fu uno dei più importanti centri massonici in Italia, la ragione risiedeva anche nella lunga tradizione di società segrete e nella vivace presenza di studenti cosmopoliti.